
La ex pm di Bologna si trasferisce a Gela ma prima fa il punto sulle infiltrazioni tra Emilia e Romagna
Un luogo ricco in tutti i sensi per produttività economica e abitato da una popolazione straordinaria e laboriosa ma l’Emilia-Romagna “è stata ed è terreno fertile per le mafie imprenditoriali”. Parole che Lucia Musti – un passato in Procura a Bologna e 19 mesi da reggente e ora in arrivo alla procura di Gela, in Sicilia – affida al Resto del Carlino in una intervista pubblicata nei giorni scorsi. Secondo l’ormai ex procuratore di Bologna è stato “registrato che taluni cittadini (industriali, colletti bianchi, amministratori locali) hanno fatto affari con le mafie ovvero si sono resi disponibili a favorirle”.
Lucia Musti si è a lungo occupata di mafia prima nel contesto della Direzione distrettuale antimafia (2003-2009) relativamente alla ’ndrina di Crotone, del clan dei Casalesi (che venne sgominato) e poi, qualche anno dopo, con i maxi processi Aemilia e Grimilde dal 2019.
Del resto, come si legge nella Relazione semestrale della DIA – Direzione Investigativa Antimafia – presentata dal Ministro dell’Interno e relativa ai fenomeni di criminalità organizzata di tipo mafioso del primo semestre del 2022 e presentata nel marzo scorso, in Emilia Romagna si “conferma il consolidarsi della strategia di infiltrazione nell’economia legale e nei gangli della Pubblica Amministrazione da parte delle organizzazioni mafiose”. E secondo una ricerca della Cgia di Mestre su dati Bankitalia, la provincia di Ravenna è tra i territori più vulnerabili alle infiltrazioni mafiose ma a rischio anche Ferrara, Bologna e Rimini. Ma non è che altrove le cose vadano meglio: a Brescello, in provincia di Reggio Emilia (il Comune fu sciolto nel 2016 per forme di ingerenza della criminalità organizzata), c’è un quartiere che viene chiamato Cutrello, dall’unione di Brescello e di Cutro, un paese calabrese di meno di 10 mila abitanti in provincia di Crotone. Cutro è il luogo d’origine di molti abitanti di Brescello ed è anche il paese dal quale provengono esponenti della famiglia Grande Aracri.
Più in generale, il processo Aemilia si è concluso nel maggio 2022 con la sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato in tutto 700 anni di reclusione e 31 condanne per associazione mafiosa. Nelle motivazioni della sentenza i giudici della Cassazione hanno scritto che la “’ndrangheta emiliana è riuscita a inquinare interi settori dell’economia locale, come l’edilizia e l’autotrasporto, con espulsione dal mercato di operatori non in grado di competere in settori gravemente condizionati dal controllo mafioso”.