“Vivono in condizioni che non favoriscono la nascita di legami stabili, l’integrazione è prima di tutto economica”
Dopo i fatti di cronaca avvenuti a Rimini, con gli stupri di una giovane polacca e una transessuale a opera di giovani immigrati, di cui uno richiedente asilo, si torna a parlare di integrazione di chi sceglie, o è costretto, lasciare il proprio paese per l’Italia.
Abbiamo fatto qualche domanda ad Anna Bono, ricercatrice in Storia e istituzioni dell’Africa presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino, insegnante Sociologia dei processi culturali nel corso di laurea in Servizio sociale, sempre a Torino. Su Africa, relazioni internazionali, problemi di sviluppo, cooperazione internazionale, emigrazione ha scritto oltre 1.600 articoli, saggi e libri scientifici e divulgativi.
Professoressa, c’è in Italia un problema di cultura e isolamento rispetto agli immigrati?
Di cultura sicuramente se si parla di condizione femminile. La quasi totalità degli immigrati illegali appartiene a società in cui per tradizione gli uomini dispongono delle donne, decidono di loro e per loro e lo fanno legittimamente, applicando regole e avvalendosi di istituzioni: il matrimonio combinato e precoce il prezzo della sposa le mutilazioni genitali femminili, l’harem, il velo e il ripudio islamici, per non citare che le istituzioni più diffuse.
Se anche così non fosse, ci sono in Italia centinaia di migliaia di uomini nel pieno del loro vigore sessuale che sono single oppure hanno la moglie, la fidanzata lontane e vivono in condizioni che non favoriscono la nascita di legami stabili con persone dell’altro sesso: senza un tessuto famigliare, senza una occupazione, tra estranei con cui hanno difficoltà a relazionarsi a partire dai problemi linguistici, ospiti in strutture che complicano la socializzazione. Non ci voleva molto a capire che sarebbe diventato un problema. E così è stato.
C’è una vera integrazione?
L’integrazione è prima di tutto economica. Svolgere un lavoro che renda autosufficienti, e che sia un lavoro regolare: questa è la prima indispensabile condizione per una integrazione effettiva. Ma centinaia di migliaia di giovani stranieri vivono da mesi e anni in Italia senza prospettive reali di inserimento nel mondo del lavoro, almeno nel breve periodo, dal momento che in Italia la disoccupazione giovanile, vale a dire proprio della fascia d’età a cui appartiene la maggior parte degli immigrati, supera il 35 per cento.
Il problema sicurezza è reale?
Quanto detto a proposito dell’integrazione economica contiene già la risposta a questa domanda. Più cresce il numero di stranieri disoccupati o che svolgono lavori irregolari, più aumentano i problemi di sicurezza, di ordine pubblico. Circoscrivendo il discorso alla violenza sessuale, visto che in questi giorni se ne parla molto, i dati indicano che il 37% degli stupri nel 2017 è stato commesso da stranieri benchè essi rappresentino solo poco più dell’8% della popolazione residente. Per altri reati l’incidenza di quelli commessi da stranieri, anche regolari, è ancora maggiore.
Parliamo dello “ius soli”, la legge in attesa di essere esaminata in Senato che espande i criteri per ottenere la cittadinanza italiana e riguarda soprattutto i bambini nati in Italia da genitori stranieri o arrivati in Italia da piccoli. Cosa ne pensa?
Condivido la convinzione che diventare cittadini di un paese deve essere la conclusione di un percorso integrativo. Peraltro lo ius soli esiste già in Italia. I figli di stranieri nati in Italia e residenti stabilmente in Italia a 18 anni hanno facoltà di scegliere di diventare cittadini italiani. Nel frattempo i bambini stranieri hanno gli diritti di quelli italiani e possono accedere agli stessi servizi. L’unica cosa che in Italia manca a uno straniero è il diritto di voto che comunque si acquisisce con la maggiore età. Così stando le cose, la fretta di concedere la cittadinanza italiana agli stranieri suona quasi come un giudizio negativo, come se le altre nazionalità fossero inferiori alla nostra e chi le detiene non vedesser l’ora di accedere alla nostra.
Barbara Boattini